di Luca Ferro: elaboratore d'immagini audiovisive, filmautore A-professional Extraindustrial Personal Audiovisual Experiment
Festival dei Popoli
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Non essendo storico di professione non ho la competenza necessaria per stabilire quanto l’uso delle testimonianze e dei materiali amatoriali possano aiutare a comprendere i grandi processi dell’evoluzione, involuzione umana o quanto viceversa possano complicare il già difficile compito di approssimarsi ad una “verità” storica.

Ciò di cui posso invece parlare a ragion veduta è sulla rivoluzione in atto nella produzione sempre più diffusa, direi quasi incontrollabile, di materiali audiovisivi. E non  mi riferisco alla proliferazione planetaria dei canali televisivi che dai satelliti raggiungono ogni angolo del pianeta.

Tutti possiamo constatare in maniera diretta e indiretta il moltiplicarsi di documentazione audiovisiva, anche semplicemente in rapporto al nostro privato.

Molti di noi vivono il paradosso -oggi in epoca di macchine fotografiche e videocamere digitali e cellulari che le riassumono entrambe- di non riuscire a stare dietro alla quantità di documentazione che in occasione di festività, cerimonie, vacanze etc. noi stessi produciamo.

Senza considerare la quantità impressionante di materiale quotidianamente messo in rete su You tube, Google video e consimili.

Non tutti hanno però realizzato di essere nel bel mezzo di una rivoluzione epocale, avviatasi sostanzialmente una decina d’anni fa, che consiste nell’aver reso disponibile per chiunque la possibilità (fino ad ieri riservata a pochi) di esprimersi attraverso il linguaggio audiovisivo.

In questo fenomeno io, insieme ad un gruppo di amici complici e consenzienti, individuiamo l’affermarsi e l’espandersi di una forma cinema che chiamiamo il Cinema Privato.  Un tipo di produzione audiovisiva che esiste fin dalle origini del cinema e i cui tratti peculiari possono riassumersi nella sua natura extraindustriale e nella vocazione a tematiche connesse al concetto di prossimità.

Questa esuberanza comunicativa dal mio punto di vista è assolutamente fertile: da un lato finirà col produrre un profondo rinnovamento espressivo, ampliando i confini linguistici e di genere tradizionalmente imposti al prodotto “industriale”; dall’altro arricchirà i giacimenti di materia prima audiovisiva a cui diversi autori già oggi attingono per produrre le proprie opere.

Certo non mi nascondo che questo fenomeno probabilmente complicherà il lavoro dello storico, cui la mancanza di documenti nuoce ma l’esorbitanza forse non giova.

Mi auguro, anche se ho il sospetto di dire una sciocchezza, che questo presente e soprattutto il prossimo futuro che si annuncia orwellianamente iperdocumentato (si pensi a quello che già oggi rappresenta il cinema “gelido” delle videocamere puntate su strade, edifici sensibili, ipermercati etc., e quello ancor più totalizzante che introdurrà l’affermarsi della domotica nell’intimità delle nostre case), servano quanto meno a eliminare l’illusione che la “verità” storica sia solo questione di prove documentali.

Penso allo storico come ad un ostinato collezionista di accadimenti in grado di esprimere il sentimento (suo personale e della sua epoca) nei riguardi di un passato più o meno recente.

Uno storico il cui lavoro, pur nell’assoluta specificità degli strumenti utilizzati, insegua quelle stesse transitorie verità che i letterati, gli artisti, gli autori audiovisivi hanno sempre cercato, ognuno a modo proprio, di riuscire a cogliere.

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